La pianta della settimana: Papaver somniferum

Cari amici di Flora d’Abruzzo questa settimana è la volta di una pianta suadente e dolcemente rilassante, il suo fascino e la sua piacevolezza intrappolano gli uomini da secoli. Ne fecero uso Sumeri ed Egizi già 4000 anni prima di Cristo, vi trovò rifugio per le afflizioni dell’animo il popolo assiro e con il suo latice denso e biancastro si preparò la Teriaca bramata da Nerone. Pianta portatrice di delizia e di sonno, velluto della psiche che aveva in Morfeo il suo dio protettore. Di chi stiamo parlando?

Papaver somniferum L.
Papavero da oppio
Papaveraceae
T scap
Euri-Medit.

La produzione letteraria mediterranea ed asiatica, indistintamente scientifica e mitologica, è ricca e variegata in riferimento al Papavero da oppio. La sua domesticazione a pianta coltivata probabilmente avvenne a partire dal selvatico Papaver setigerum DC. sull’altopiano anatolico e ben presto colonizzò l’intero Medio Oriente finendo per essere coltivata dall’Egitto fino alla Cina. Le ragioni della sua rapida dispersione risiedono quasi esclusivamente nei principi attivi contenuti nel latice biancastro secreto dai canali lattiferi e in minor parte nei numerosi e minuti semi utilizzati a scopo alimentare e per produrre olio. Il denso latice viene ricavato incidendo le capsule immature per produrre il famigerato oppio, prodotto base per la raffinazione dell’eroina in tempi recenti.

Il Papaver somniferum L. si presenta come una pianta annua erbacea di altezza compresa tra i 30 e i 100 cm di altezza, caratterizzata da un uniforme colore glauco e da una scarsa pelosità di fusto e foglie. Le foglie basali sono generalmente grandi ed oblunghe a fillotassi alterna, munite di un corto picciolo; le cauline sono amplessicauli e auricolate alla base della lamina. Carattere distintivo della specie è il margine fogliare a lobi ottusi non terminanti in una setola.

I boccioli fiorali sono subglabri e penduli ma si allineano all’antesi tra maggio e giugno. I fiori ermafroditi e solitari sbocciano all’apice di lunghi peduncoli fiorali. Il calice è costituito da 2 sepali caduchi mentre la corolla è composta da 4 petali non persistenti di colore bianco, roseo, rosso o malva e macchiati di nero alla base. Il frutto secco e deiscente è una capsula sferica-ovale ospitante numerosi piccoli semi scuri reniformi dalla superficie scabra. I semi rimangono nella capsula durante tutto il periodo successivo alla maturazione del frutto per poi disperdersi ad inizio primavera dell’anno venturo.

L’etimologia del nome generico è di origine sanscrita e deriva dal vocabolo “papavira” = succo pernicioso; invece l’epiteto specifico nasce dall’accostamento dei termini latini “sómnium” + “féro” = portatore di sonno, con riferimento alle proprietà narcotiche della pianta.

Stando a quanto si evince dall’etimo sanscrito i popoli indoeuropei a gravitazione mediorientale ben conoscevano gli effetti narcotici e sedativi del latice di papavero utilizzato come analgesico, antispastico, bechico, antidiarroico e sudorifero.

Attualmente la botanica farmaceutica e la ricerca biochimica hanno isolato i principi attivi contenuti nel latice e tra questi si annoverano in percentuali variabili oltre 30 alcaloidi, tra cui morfina, codeina, papaverina, tebaina, noscapina, narceina, readina, reagenina, isoreadina e protopina etc.

Pur non essendo una specie endemica italiana il Papaver somniferum L. è parte integrante della nostra flora venendo classificata come Archeofita naturalizzata per indicare l’introduzione da parte dell’uomo prima della scoperta dell’America.

Per lungo periodo la sua propagazione ha sfruttato le pratiche agricole dell’uomo che mischiava inconsapevolmente i suoi semi minuscoli a quelli dei cereali e per questo rientra tra le commensali del grano, orzo, segale, mais ed altre colture annuali. Attualmente vegeta negli incolti e su suoli abbandonati, ai margini delle strade e su suoli calcicoli. In Abruzzo è diffusa sporadicamente dal livello del mare fino ai 1200 metri e se ne segnala un’abbondanza insolita nell’area basso collinare del Fucino.

Anche la medicina popolare abruzzese ricorreva all’utilizzo del papavero in casi di necessità per preparare tinture e pomate con capsule e foglie. Si preparava anche il laudano con aggiunta di pistilli di zafferano ed altre spezie per mitigare crampi e coliche renali. Un simpatico gioco per bambini consisteva nell’ aprire i boccioli fiorali dei papaveri per conoscere in anticipo la propria sorte e il responso di paradiso, purgatorio o inferno variava in base all’intensità del colore della corolla in maturazione.

Cari amici, speriamo che questo racconto non abbia le proprietà narcotiche del nostro protagonista e se anche voi conoscete il papavero da oppio, scrivetelo nei commenti ed inviateci le vostre foto! Ciao!

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